Come leggeremo le notizie su Apple Watch?

Pubblicato sul blog Piazza Digitale di Corriere.it


Apple-Watch-NYT

Come condensare le notizie su uno schermo di 38 o 42 millimetri? L’editoria avrà pure altri pensieri, ma l’imminente uscita di Apple Watch pone qualche problema a chi delle news online ha fatto il proprio mestiere. Ci si era appena calibrati su come rendere social le notizie, il Seo e tutto il resto. Ora pare che le homepage siano morte, che i browser siano in agonia e che molti vogliano comprarsi uno smartwatch. Eppure fino a ieri c’era la corsa allo schermo più grosso. Nel dubbio che le previsioni di Tim Cook siano giuste e che il nuovo gioiellino da polso rivoluzioni il nostro modo di intendere la tecnologia, alcune testate internazionali stanno già correndo ai ripari. L’obiettivo è ambizioso: sviluppare delle app che consentano di leggere le notizie su piccolo schermo, renderle intuitive e multimediali come dei flash colorati e, ovviamente, riuscire a incastrarci la pubblicità.

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Leggendo cosa twitti ti dirò chi sei

Twitter cage

Illustrazione di Keith Negley

Si può capire molto di uno sconosciuto semplicemente guardandone i profili sui social. Se ne possono intuire interessi, attività, difetti fisici e amori passati. Lo sapevamo. Ma c’è una novità che segnerà la svolta dell’indagine coatta online.

Analyze Words è un sito che ti permette, in autonomia, di analizzare il profilo psicologico di chiunque – proprio chiunque – attraverso le parole scritte su Twitter. Basta copiare il nome (@…) in una barra spaziatrice per avere un risultato percentuale sullo stile emotivo, social e di pensiero del profilo dell’interessato. Quanto è ottimista/preoccupato/arrabbiato/deprimente? Sui social è modaiolo, personale, arrogante o stordito? Pensa in modo analitico, sensoriale o è un tipo che vive alla giornata?

Analyze Words prende in esame le parole utilizzate negli ultimi tweet pubblicati e sforna il risultato in una manciata di secondi. Ad esempio, io risulto una tipa arrogante, distaccata e che usa Twitter un po’ così, come le pare. Accurato o meno, l’analisi farà la felicità di qualcuno. A questo punto mi è venuta una curiosità: con tutte le tattiche social adottate dalle varie testate, quale profilo psicologico risulterà da un’analisi semplificata dei profili? Vediamo qualche esempio…

Repubblica.it: super depresso.

Corriere.it: super depresso, ma meno di Repubblica.

Il Post: un carattere equilibrato, un po’ spento.

Huffington Post Italia: catastrofico

Linkiesta: più ottimista di altri, però se la tira.

Wired Italia: modaiolo e sulle nuvole.

Vice Italia: incazzato.

Gli Stati Generali: si danno un sacco di arie.

Analyze Words è l’ultima creatura dello psicologo americano James Pennebaker, che studia il rapporto tra linguaggio e personalità. In un articolo pubblicato sul New Yorker, Maria Konnikova racconta per esteso come alcuni studi sul linguaggio dei social abbiano avuto esiti positivi per lo studio di alcune comunità. Perciò perché non dovrebbe valere anche per la community di Twitter…

word cloud

Il Parlamento europeo in 8 punti (spiegato bene)

European Parliament - Martin Schulz

La formula è classica, “8 things you need to know about…“. A fare la differenza stavolta è il complemento d’argomento: il Parlamento europeo! Persino l’Ue impiega le liste stile Fanpage per “spiegarsi bene” (per dirla come la direbbe Il Post) ai cittadini europei. E sfrutta le tecniche per attirare l’attenzione dei giornali online mainstream per fare una lezione su una propria istituzione che sia… semplificatoria e catchy.

Per quanto bizzarra possa sembrare, l’idea dell’articolo “Democrazia in azione: 8 cose da sapere sul Parlamento europeo” pubblicato sul sito ufficiale è funzionale e merita una traduzione:

  1. Il Parlamento europeo è co-legislatore;

  2. Si esprime assieme alle altre istituzioni europee in materia di budget comunitario e vigila su come viene investito il denaro;

  3. Si incontra e consulta regolarmente con i parlamenti nazionali degli Stati membri;

  4. Il registro di trasparenza per i lobbisti mette nero su bianco i nomi di chi prova a influenzare le decisioni europee;

  5. I membri del Parlamento europeo vengono eletti direttamente ogni 5 anni;

  6. I parlamentari siedono divisi per gruppi politici e non per nazionalità;

  7. Il Parlamento si adopera costantemente per la democrazia e i diritti umani nel mondo intero, ad esempio attraverso l’annuale Sakharov Prize e missioni di controllo delle elezioni;

  8. Il Parlamento opera in tutte le 24 lingue ufficiali dell’Ue.

Jacopo Tondelli: “I click di massa perderanno valore”, e gli Stati Generali possono farne a meno

“I click di massa, purtroppo o per fortuna, tendono e tenderanno a deprezzarsi, a valere sempre meno sul mercato del web. Quindi una via alternativa va cercata, non solo per vocazione alla qualità, ma anche per sostenibilità del modello”
Quando gli Stati Generali sono nati, lo scorso novembre, il lancio prometteva un progetto di giornalismo alternativo, partecipativo, arricchito dai contributi di esperti anche accademici (brains). Il direttore Jacopo Tondelli, lasciatosi alle spalle Linkiesta, si giocava la carta del sito che sopravvive “senza sottostare alla schiavitù degli algoritmi che regolano il web” con pochi costi fissi e molti variabili: una redazione a due (lui e Lorenzo Dilena), affiancata da un team di sviluppo tecnologico, con circa cento collaboratori e oltre duecento brains. Si capiva fin da subito che liste, gattini e “guarda qui” – fortuna di altri – non sarebbero rientrati nella scuderia de GSG.
Jacopo Tondelli

Un ritratto di JTondelli dal sito de Gli Stati Generali

A 3189 follower dal debutto, il trend è positivo: “Al terzo mese abbiamo registrato circa 250 mila unici, in crescita costante dal primo mese, di circa il 30% mese su mese. Il trend quindi è positivo e speriamo naturalmente di consolidarlo”, ci conferma il direttore. Ma come fa un giornale pure player (solo online), che rinuncia ad attirare-click, con un target di lettori medio-alto, a sopravvivere? Tondelli scommette che le attuali strategie sui social hanno una data di scadenza:

“Il nostro giornale, in realtà, funziona se riesce ad attrarre non solo lettori interessati alla qualità, ma anche autori interessati a produrre contenuti di qualità: i nostri brains, appunto. Naturalmente non è facile, anche perché i nostri numeri difficilmente saranno mai quelli dei grandi colossi o anche quelli dei nuovi contenitori tutti rivolti alla ricerca del click. Tuttavia, i click di massa, purtroppo o per fortuna, tendono e tenderanno a deprezzarsi, a valere sempre meno sul mercato del web, e quindi una via alternativa va cercata, non solo per vocazione alla qualità, ma anche per sostenibilità del modello”.
Qual è dunque la loro strategia sui social?
“Sui social cerchiamo di mantenere una coerenza col profilo di contenuti e di ambizioni che abbiamo. Dei gattini non pensiamo molto: se vi piacciono, cliccate. Ripeto: credo che nel lungo periodo quei click varranno sempre meno da ogni punto di vista, e per fare ricavi ne serviranno sempre di più, in un mare affollato di offerta in cui il brand che propone i contenuti è quasi indistinguibile dal resto”.

Funziona! La sezione HuffPost dedicata alle buone iniziative 

Non è solo questione di buon giornalismo; è buon senso per gli affari. A quanto pare, infatti, contrariamente alla logica delle “ferite aperte che aprono i pezzi”, la gente aspira a leggere più storie costruttive e ottimistiche.

In un post su Huffpost Usa, Arianna Huffington commenta la nascita del nuovo vertical “what’s working”, che raccoglierà “Tutte le notizie che vale la pena pubblicare”. Anche l’edizione italiana del giornale ha inaugurato ieri la sezione, tradotta come “Funziona!”.



La novità nasce dalla volontà di combattere il “sensazionalismo duro” dei media (vedere il film Lo Sciacallo di Dan Gilroy) per dare una lettura della realtà più completa. Inserendo anche le notizie positive, meno sensazionali:

Come le persone stiano reagendo, come aiutino i propri vicini, come si stiano mostrando all’altezza della situazione, tutto questo viene lasciato fin troppo spesso fuori”.

Anche perché, rileva Huffington, sono le notizie positive quelle che vengono più facilmente condivise dai lettori sui Social. Una sfida per cambiare il giornalismo online, mettendo da parte il cinismo gratuito. 

Banksy da Gaza: “Volevo mostrare la distruzione della guerra, ma la gente guarda solo i gattini”

Bansky gattini

Pure Banksy ci si mette? Quello qui sotto è uno dei quattro graffiti lasciati dall’anonimo artista britannico durante un reportage a Gaza. Il writer, che su Youtube ha pubblicato un video sul suo viaggio, ha commentato sul suo sito le ragioni della scelta – apparentemente bizzarra – di disegnare un micino stile Aristogatti sulle macerie. La risposta la dice lunga, più in generale, sullo stato della condivisione delle news online:

Un uomo mi ha chiesto cosa significasse la mia opera e ho spiegato che volevo mostrare la distruzione di Gaza mettendo foto sul mio sito, ma che la gente su internet guarda solo foto di gattini.

Il post di Rivista Studio sul Post spiegato bene

Attenzione, segue un esercizio di metagiornalismo sul metagiornalismo. 

The Newsroom

Come intitoleresti un pezzo sul Post? “Cos’è il Post, spiegato bene”, scommetto. Così ha fatto anche Anna Momigliano, caporedattrice di Rivista Studio, che ha fatto un’esperienza embedded nella redazione del giornale online di Luca Sofri fotografando parti di ufficio qua e là e facendo due chiacchiere con il direttore. Al di là di orsetti gommosi e computer Mac come funghi, la parte interessante è quella sui famosi “Spiegato bene” del Post:

“Gli “spiegoni del Post” sono diventati un genere giornalistico a sé stante. Una formula Google-friendly, che ha il pregio di saper tenere informato anche chi non si informa regolarmente”.

Nel senso che magari uno che non legge i giornali con metodo ogni giorno finisce, comunque, prima o poi, per chiedersi “Quantitativiisingche?”. E il Post te lo spiega (bene).

L’osservazione è giustissima. Non solo c’è bisogno di articoli-schede che mettano le cose in chiaro ordine temporale (senza farti passare da Wikipedia), ma un’impostazione del genere non può che funzionare. Se non sai qualcosa, you ask Google; e in molti si interrogano sui motori di ricerca con frasi del tipo “che cos’è xx” “spiegazione xy” ecc ecc. Se la domanda è giornalistica, il SEO spunta il Post. Se non è giornalistica, ovviamente è Yahoo Answers.

 

 

LaZampa.it non è roba da gattara dei Simpson

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Forse non tutti sanno che oggi, 17 febbraio, è la festa nazionale del gatto. Wikipedia ricorda che fu “la giornalista gattofila Claudia Angeletti” a proporre un referendum ai lettori della rivista “Tuttogatto” per stabilire il giorno da dedicare “a questi affascinanti animali spesso bistrattati”. Una seria ricorrenza, festeggiata oggi dai titoli di tutte le testate italiane: Repubblica (“È la Giornata del gatto, superstar del web“), Wired (“Perché oggi è la Festa del gatto“), e – ovviamente – La Stampa (“Dieci segreti sui mici“).

Forse non tutti sanno che il quotidiano torinese fondato nel 1867 ha un intero canale dedicato agli animali, chiamato La Zampa. Articolata in ulteriori colonne: cani, gatti, altri animali e videoadozioni. Con un box di aforismi pet friendly e una barra orizzontale di breaking news. Con un articolo – tu quoque!! – sulla scia delle 50 sfumature (“50 sfumature di Fido e non solo: Buon San Valentino!”). Gallery. Sfondi desktop da scaricare (così Windows ’98!).

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Ad inventare LaZampa.it è stato Fulvio Cerutti, classe ’73, nel 2007. Su Twitter di sé scrive “Amo gli animali e loro mi amano. Soprannome: Kung Fufu Panda”. Roba da gattara dei Simpson? No di certo. Parliamo di oltre 27mila “mi piace” su Facebook, quasi 4mila follower su Twitter. LaZampa.it a luglio 2014 ha registrato un traffico di 846 mila visitatori unici (+614% rispetto a luglio 2013) e 8 milioni di pagine viste (+1021% in un anno). gattara simpson

Un’idea attira-click geniale, per come vanno le cose sul web. Pagine molto più intellettualmente sofisticate se li sognano dei dati simili. Per non parlare del fatto che, così, La Stampa ha un canale unico dove indirizzare i video di gattini, senza buttarli alla rinfusa tra le confessioni di modelle sull’Isola e le 50 sfumature di mal di testa.

Su Twitter vince chi litiga

Chissà se gli uccellini sono animali pacifici. Quelli di Twitter sono spesso ambasciatori di furiosi battibecchi, offese e amare tirate d’orecchie.

Si dice che non rispondere a una critica su questo Social, che è nato per chiacchierare apertamente, sia segno di massima scortesia. Ma fatta eccezione per i grandi nomi e gli influencer chi ha più visibilità su Twitter sono proprio… Gli scortesi. I bisbetici, i polemici.

Tutto è pubblico. Io twitto tu rispondi io rispondo e via così a chiocciole e cc:. Però se siamo d’accordo dopo una a/r tutto finisce. E il cinguettio si estingue.

Se invece litighi su Twitter si può andare avanti per ore. E giù una valanga di nuovi botta e risposta, che guadagnano visibilità e richiamano arbitri parziali nel marasma della montante indignazione.

Tutte suggestioni personali, magari. Ma se la litigiosità proattiva diventasse un nuovo modo di attirarsi un seguito sui Social? I talk perderebbero un’altra esclusiva: quella di fare litigare la gente pubblicamente.

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(Birdman)

Ps: a proposito, “perché litigare su Twitter è dannoso?”

Mediaite la dice giusta: il sedere è uno strumento di marketing

Coda coniglioNon vogliamo richiamare ancora una volta la vicenda di una certa italiana responsabile della comunicazione di Tsipras… Ma diciamo che per farsi vedere, e leggere, ci vuole – anche – un po’ di culo. Un esempio recente? Il SuperBowl 2015, come ogni anno, ha sfornato un sacco di spot pubblicitari notevoli. Il più visto? Questo:

Il sedere come strumento di marketing. In un illuminato quanto “rotondo” post dal titolo “From Kim Kardashian to Coppertone: A History of the Butt as a Marketing Tool“, Ashley Hoffman di Mediaite affronta la spinosa questione delle “tetteculi” sparse sul web. “Kim Kardashian è meno famosa per il modo in cui si veste che per il suo posteriore. Vorremmo non prestare così tanta attenzione al fatto che ne ha uno, ma guardiamo in faccia la realtà”.

La realtà è che tutti si lamentano ma poi nessuno si sottrae al gioco del “clicco e vedo – vedo e clicco”. Quando il Sun ha provato a cambiare direzione alla sua terza pagina per tre giorni già se n’era fatta una questione internazionale…